«Agli italiani all’estero dico: non tornate». Questa la dichiarazione del sottosegretario agli esteri Di Stefano. Quanta miopia c’è in queste parole, in questo ingenuo invito.
Dire agli italiani all’estero di non tornare significa non comprendere la realtà di tante famiglie, separate tutto l’anno da chilometri di distanza.
Significa non avere contezza delle difficoltà di chi ha lasciato l’Italia, dei sacrifici fatti, e significa non avere contezza della grande ingiustizia dietro quelle parole, che penalizzano chi ha rispettato la legge, iscrivendosi all’Aire, e beneficiano invece chi la legge l’ha ignorata o infranta, vivendo per anni all’estero ma rimanendo anagraficamente residente in Italia.
Ho lasciato l’Italia a 26 anni. Ero a Londra, una gigantesca metropoli in cui non conoscevo nessuno. Se qualcuno mi avesse detto «non tornare in Italia per Natale» la mia reazione sarebbe stata la rabbia! Rabbia per un’Italia che mi ha fatto partire, e che ora cerca anche di impedirmi di tornare.
Ci sono italiani all’estero e italiani all’estero.
Ci sono quelli che vivono all’estero da anni, o da sempre, e hanno lì tutti i loro affetti.
E poi ci sono gli emigrati, quelli come me. Che sono espatriati, ma che hanno in Italia la loro famiglia. A loro non si può dire: «Rimanete all’estero».
Mi aspetterei maggiore comprensione su questi temi. Anzi: dai rappresentanti dell’esecutivo alla Farnesina, la pretendo.