La mia interrogazione sul caso di Luca Ventre

Tempo di lettura: 2 minuti

Pubblicato il 17/02/2021

Interrogazione a risposta scritta 4-08219

Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

sta destando sconcerto la luttuosa vicenda del nostro connazionale Luca Ventre, morto il 1º gennaio 2021 nell’ambasciata italiana di Montevideo, capitale dell’Uruguay. Le dinamiche e le ragioni dell’accaduto non sono state chiarite e sono emerse incongruenze tra la versione ufficiale rilasciata dalle autorità uruguaiane e le successive ricostruzioni giornalistiche, basate sui filmati delle telecamere dell’ambasciata e le testimonianze dei familiari. Tali dettagliate ricostruzioni, per ovvi motivi, non è possibile riportare qui per esteso; si accennerà dunque ai punti salienti della vicenda;

Ventre, di origine lucane, si era trasferito nello stato uruguaiano otto anni fa, raggiungendo il ramo paterno della famiglia, radicatosi nel Paese già dagli anni Cinquanta, e avviando attività commerciali;

secondo quanto riportato dagli organi di stampa, alle sette di mattina del primo dell’anno, dopo aver ripetutamente suonato al citofono dell’ambasciata italiana, e non avendo ricevuto risposta essendo giorno festivo, Ventre scavalca la cancellata all’ingresso; ha in mano una cartellina portadocumenti. Il suo intento, parlare immediatamente con un funzionario. Al riguardo, il fratello di Ventre — Fabrizio — dichiarerà che il giorno prima, il 31 dicembre, Luca gli aveva detto al telefono di sentirsi in pericolo di vita e di voler rientrare al più presto in Italia;

nonostante prassi voglia che il territorio dell’ambasciata sia presidiato da sorveglianti italiani, una volta entrato in cortile, Luca trova una guardia privata e un agente di polizia locale, entrambi uruguaiani. Dopo un breve colloquio, Ventre prova a tornare su suoi passi, ma viene bloccato e scaraventato a terra. Malgrado i ripetuti segni di resa del nostro connazionale, il poliziotto gli mette un braccio attorno al collo, con una tecnica chiamata «chiave di judo». Per dieci minuti Luca tenta invano di liberarsi, per poi, alle 7:18 smettere di muoversi: ciononostante, il poliziotto non lascia la presa per altri tredici minuti. Infine, alle 7:40, e dopo alcune chiamate effettuate dalla guardia, giungono all’ambasciata, in automobile, tre persone, di cui due sono agenti: questi ammanettano Ventre che, ancora a terra, continua a non mostrare alcun cenno di reazione. Il vigilante consegna loro la cartellina porta documenti della vittima, la quale viene infine sollevata e trascinata di peso nell’automobile. Sono diretti al vicino ospedale, dove Ventre verrà dichiarato deceduto;

in merito alle condizioni di Ventre al suo arrivo al nosocomio, le versioni dei due agenti sono discordanti, così come quelle dei medici e degli infermieri di turno all’ospedale. Nel primo referto dell’autopsia, in ogni caso, si legge che «il cervello presenta uno stato edematoso, compatibile con la morte da strangolamento»;

la procura di Roma ha aperto un fascicolo per omicidio a carico di ignoti e ha chiesto, insieme ai genitori di Ventre, che il cadavere venga riesumato al fine di fare un’autopsia in Italia;

la madre infine ha sostenuto che il telefono di Ventre fosse sotto controllo, e che il giorno prima di morire fosse stato «inseguito da due auto che hanno tentato di bloccarlo» –:

se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti e se non ritenga, per quanto di competenza, di fornire ogni informazione utile al fine di chiarire le circostanze in cui è purtroppo avvenuto il decesso del connazionale Luca Ventre;

se non intenda chiarire la presenza di personale di vigilanza non italiano a tutela della sicurezza delle sedi diplomatiche italiane all’estero.

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