Di seguito, l’articolo da me scritto per La voce di New York, nel quale spiego la mia proposta di legge per sopprimere il Consiglio generale degli italiani all’estero, e valorizzare i Comites.
Nell’ottobre dello scorso anno ho presentato una proposta di legge volta a sopprimere il Consiglio Generale degli Italiani all’estero (CGIE), e ad istituire, contestualmente, il Congresso dei Presidenti di Comites. A mio avviso, la riduzione del numero di parlamentari eletti all’estero ci obbliga a una nuova riflessione sulla rappresentanza e sulle reali necessità dei nostri connazionali nel mondo.
Il CGIE è stato istituito nel 1989: oltre trent’anni fa. Nel frattempo il mondo è cambiato, le necessità degli italiani all’estero sono cambiate e, soprattutto, possono votare direttamente i loro rappresentanti in Parlamento, appunto nella circoscrizione estero. Oggi gli italiani nel mondo godono quindi di due livelli di rappresentanza diretta: i Comites (per le questioni territoriali) e i parlamentari. La domanda sporge dunque spontanea: a cosa serve, oggi, un organo non eletto dei cittadini residenti all’estero?
Ricordo una delle prime riunioni plenarie del CGIE: parlando con alcuni consiglieri in carica, in piena onestà, e in maniera confidenziale, mi dissero che ormai si sentivano inutili; che da quando c’erano gli eletti all’estero il loro ruolo non aveva più senso. Non so se per stanchezza o disperazione mi dissero che «tanto vale abolirlo, il CGIE». E io, dopo quasi quattro anni di mandato, sono d’accordo con loro. Ma non solo con loro; nel tempo, anche molti consiglieri Comites mi hanno confidato di non comprendere ruolo e scopo del Consiglio, suggerendone l’abolizione.
Inoltre, negli ultimi anni, è sempre più chiaro come il CGIE si sia trasformato da organo di consultazione ad organo politico. Il presidente del CGIE è il Ministro degli Esteri; tuttavia, il CGIE sembra ormai muoversi in piena autonomia, spesso anche in contrasto con le stesse istituzioni. Basti pensare al referendum sul taglio dei parlamentari: il CGIE ha invitato i Comites ad attivarsi per promuovere le ragioni del ‘no’. Una scelta gravissima, che di fatto politicizza il Consiglio Generale (ma a mio avviso, un organo politico dovrebbe essere eletto).
Tutto ciò premesso, la mia non è una proposta che vuole indebolire la rappresentanza all’estero: anzi, vuole rafforzarla. La mia PdL non si limita a sopprimere il CGIE (composto da nominati, o membri eletti da poche decine di persone): come detto, vuole contestualmente istituire il Congresso dei Presidenti di Comites.
I Comitati possono, a mio avviso, svolgere ancora un ruolo fondamentale nelle comunità all’estero: specialmente in vista della riduzione dei parlamentari. Devono essere le antenne delle istituzioni nei territori all’estero. Ma, per poter svolgere questo ruolo, devono essere messi nelle condizioni di poter trasmettere le loro istanze a qualcuno.
Con la mia proposta, la Farnesina convoca il Congresso dei presidenti, composto dai presidenti dei Comites, o dai Coordinatori Comites nei paesi ove vi siano più di un Comitato. I lavori del congresso si articolano in due tipi di riunioni: una plenaria, e una per ripartizione elettorale. Durante le riunioni per ripartizione elettorale, ogni partecipate presenta una relazione sulle necessità e sui problemi rilevati nel territorio di sua competenza. Durante la riunione plenaria, il Ministero degli Esteri presenta una relazione sulle questioni generali concernenti le comunità italiane all’estero, in maniera analoga a quanto avviene oggi durante le riunioni del CGIE. Ma in questo contesto possono essere votati anche documenti con proposte di interventi legislativi per gli italiani all’estero. Sono infine redatti appositi verbali delle riunioni, che sono trasmessi alle Commissioni competenti in materia di affari esteri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e pubblicati nei siti internet del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e dei Comites.
In definitiva, il congresso dei presidenti si configurerebbe come una istituzione più ‘leggera’, più adatta a rispondere alle attuali esigenze, e in grado di valorizzare maggiormente il ruolo dei Comites. Inoltre, in merito alle problematiche legate alla rappresentanza territoriale del rinnovato CGIE, con questa mia proposta ogni paese del mondo, ove esista almeno un Comites, sarebbe rappresentato e avrebbe voce. Infine, abolendo il CGIE, si libererebbero delle risorse economiche, che potrebbero essere dirottate verso i Comites, proprio per rafforzare il lavoro e il ruolo di questi organismi.
Credo che in politica sia necessario essere pragmatici e anche coraggiosi. A volte alcune scelte possono scontentare qualcuno, ma l’obiettivo dev’essere uno solo: fare la cosa migliore. A mio avviso, oggi, la cosa migliore è abolire il CGIE, ormai anacronistico, e sostituirlo con il Congresso dei Presidenti dei Comites.